I luoghi
La trattoria tipica Don Santo è punto d’incontro fra il Parco dei Nebrodi e il Parco dell’Etna. L’aria pura e le bellezze naturali, ma anche gli aspetti culturali e turistici del luogo meritano di essere scoperti, e questa sua posizione privilegiata consente di effettuare una piacevole tappa per gustare i sapori dei nostri piatti, respirare l’odore della ginestra e godere della frescura dei nostri boschi dopo aver visitato i luoghi più belli della zona:
IL PARCO DEI NEBRODI
Con un’estensione di 85.687 ettari, il Parco dei Nebrodi occupa il territorio di 21 comuni, dei quali 17 in provincia di Messina, 3 in provincia di Catania e uno in provincia di Enna, passando da poche decine di metri sul livello del mare fino ai 1.847 metri del Monte Soro. I monti Nebrodi, con le Madonie ad ovest e i Peloritani ad est, formano l’Appenino siculo; a nord si affacciano sul Mar Tirreno, mentre a sud si trovano l’Etna, il fiume Alcantara e l’alto corso del Simeto.
Nebros in greco significa cerbiatto, e il massiccio montuoso deve il suo nome proprio al fatto che un tempo daini e cerbiatti lo popolavano. Il paesaggio offre al visitatore continue sorprese. Tra i boschi affiorano paesi, antiche strade, case arroccate, in un miscuglio sapiente di archeologia e artigianato. A smentire il luogo comune che dipinge la Sicilia come una terra arsa dal sole, il parco costituisce un’oasi di verde, con un paesaggio ricco di fiori e alberi da frutto, ulivi secolari, noccioleti, vigne e querceti. Oltre i 1.300 metri dominano l’agrifoglio e l’acero; il sottobosco è ricco di fragoline, more, ciclamini, porcini e ovoli. Nelle foreste di Mangalaviti e del Tassito è possibile trovare una conifera sempreverde, e il rarissimo tasso baccato, capace di vivere per duemila anni, detto anche “albero della morte” per via delle sue foglie velenose. Vicino ai torrenti si può ancora trovare l’oleandro, ormai in via d’estinzione, mentre verdi pascoli si alternano a distese di grano tra i 1.000 e i 1.100 metri. Numerose le specie animali in via d’estinzione, come gatti selvatici, martore, istrici, il suino nero, simile al cinghiale e allevato allo stato brado, infine i famosi cavalli “sanfratellani”, incrocio tra razza araba e purosangue inglese, e l’ultima coppia di aquila reale che nidifica sulle pareti delle Rocche del Castro. Non mancano gli animali da allevamento: mandrie di mucche e ovini procurano prelibati prodotti caseari e carni di ottima qualità.
FLORESTA
Floresta, il più alto comune della Sicilia, sorge a 1.275 metri sul livello del mare; e gode di una particolare posizione, distesa su un altopiano dal quale guarda il vulcano e attorniata dalla lussureggiante vegetazione dei Nebrodi. Il paese fu fondato nel diciassettesimo secolo da un gruppo di esuli scampati agli spagnoli, e il suo sviluppo avvenne attorno alla chiesa di Sant’Anna. L’impianto urbano, semplice e razionale, vede le abitazioni svilupparsi modestamente in altezza, decorate con semplici arredi architettonici orizzontali al di sopra degli stipiti delle porte, o con balconi in ferro battuto, sorretti da eleganti mensole scolpite.
Caratteristici sono i portali e stemmi di pietra antica, ornata da rappresentazioni floreali e animali, che dominano sui prospetti degli edifici. Anche le campagne che attorniano il centro abitato sono mute testimoni del passato, incastonato nelle pietre e nei “casotti”, rifugi in pietra arroccati sulle montagne utilizzati dai pastori. Il paesaggio è incorniciato da piccoli laghi sparsi tra le montagne che accolgono, nelle loro soste, gli uccelli che migrano verso il continente africano. La vegetazione boschiva è costituita in prevalenza da faggi, imponenti alberi dal tronco liscio e biancastro, e dalla chioma ampia.
SANTA DOMENICA VITTORIA
Nella verde valle attraversata dal fiume Alcantara sorge Santa Domenica Vittoria, in origine un gruppo di case rurali appartenenti al feudo di Roccella. A partire dal tredicesimo secolo il casale fu possedimento degli Spatafora e dei Villafranca: dalla principessa Vittoria di Villafranca deriva il nome del paese, assieme al nome della patrona, Santa Domenica. Il territorio, punteggiato di coltivazioni di grano, di castagne e di uva, è incorniciato dal fiume e dai boschi dei Nebrodi, che mostrano quanto di più bello offre la natura: le solide querce, i faggi dal tronco liscio e dalle folte chiome, i ciuffi di cespugli da cui, se si è fortunati, è possibile vedere ogni sorta di animali selvatici fare capolino.
RANDAZZO
Costruita gli inizi del tredicesimo secolo con materiale lavico, Randazzo è un borgo medievale intatto nelle strutture e nelle atmosfere. Oltrepassato un arco, porta d’ingresso alla città, si entra in un mondo sospeso nel tempo: numerosi palazzi nobiliari cingono autentici gioielli di architettura medievale, fra cui spicca la Chiesa di Santa Maria, costruita tra il 1217 e il 1239, in stile svevo-normanno. Risalgono all’epoca originaria le absidi turrite, mentre il campanile a cuspide, al centro della facciata, è opera della seconda metà del XIV secolo, ed ha subito delle aggiunte di rilievi architettonici in calcare bianco nell’Ottocento. Sul lato nord un portale gotico quattrocentesco, con una madonna marmorea di scuola pisana. L’interno è rinascimentale, diviso in tre navate da due file di colonne in pietra lavica, il materiale costruttivo più utilizzato in questa zona. Tra le opere pittoriche, si distinguono le tele del palermitano Giuseppe Velasquez e del fiammingo Jean van Houbraken. L’altare maggiore, interamente in pietra lavica, è in stile barocco, e risale al 1663.
Nei pressi della cattedrale di San Nicolò si ammira invece la suggestiva via degli Archi, sormontata da preziosi archi a sesto acuto. Ma Randazzo non è solo spirito medievale: risveglia l’interesse turistico anche la circumetnea, la linea ferroviaria che fa il giro del vulcano, permettendo di sostare nei paesini alle falde dell’Etna, e consente così di passare una giornata alla scoperta delle atmosfere, dei cibi, e sulla strada dei vini etnei. La viticoltura della zona etnea ha origini remotissime. A Randazzo, nella zona di Solicchiata, Torrepalino è una delle più antiche aziende vitivinicole della Sicilia. Il nome Torrepalino deriva dalla torre costruita per la difesa del territorio, mentre il “palino” è un’asta metallica indicatrice di direzione. I vitigni più coltivati sono il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio e il Nerello Mantellato.